Gen Z

I giovani non sono nichilisti

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Intervista a Marco Rizzo sulla composizione giovanile
Il discorso pubblico che nella pandemia ha contribuito a produrre un’immagine della composizione giovanile associa generalmente i giovani a forme di malessere psicologico ed esistenziale. Senza negare l’impatto psicopatologico che il virus e la sua gestione hanno avuto su di loro, se vogliamo attribuire un valore politico alla questione generazionale non possiamo accontentarci di questa “banale” considerazione sociologica. Dobbiamo invece iniziare a tratteggiare i profili, al plurale perché quella dei giovani è una composizione fortemente stratificata, della soggettività giovanile per individuare le potenziali linee di conflitto. Tuttavia nei confronti dei giovani scontiamo una lacuna analitica che è anche e soprattutto il riflesso di una lacuna organizzativa e viceversa. Lo scopo di questa intervista a Marco Rizzo, militante e insegnante nelle scuole di secondo grado, è quindi quello di inaugurare uno spazio di riflessione sulla composizione giovanile capace di spezzare questo circolo vizioso tra mancanza di analisi e assenza di intervento. A questa intervista seguiranno altri materiali prodotti per lo più da “osservatori privilegiati” capaci di ragionare, come fa bene qui Marco Rizzo, sulle forme di politicità implicita dei giovani, sulle ambivalenze dei loro comportamenti e quindi di tratteggiare delle ipotesi di lavoro politico. L’assenza di una presa di parola soggettiva da parte dei giovani potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Tuttavia, sebbene sia sempre importante dare spazio alla voce dei soggetti, in fase di elaborazione delle ipotesi di lavoro è altrettanto rilevante lasciare spazio a chi riesce a produrre forme di astrazione a partire da una diretta osservazione.
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Vent'anni e non sentirli

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Riflessioni di D.M. (classe 1999) su giovani, composizione di classe e militanza
Quella generazione che ha interiorizzato (anche nella scelta dell’università), il paradigma delle aspirazioni stanche e che guarda al proprio futuro con un cinismo piatto e neanche più (nel senso stretto della parola) pessimista, piuttosto che con la paura che media, politicanti e gruppi indie di 40enni vorrebbero dipingergli addosso. Insomma: se il futuro arriva, di positivo non ci si aspetta nulla, di ciò che invece avverrà di negativo difficilmente si resterà sorpresi. La delusione ha lasciato spazio alla disillusione. Il fatto che le cose possano solo peggiorare è assodato e non stupisce più di tanto. Per riprendere il testo di uno striscione appeso al balcone di qualche universitario quarantenato ai tempi del lockdown: andrà tutto a puttane.
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