Restare per sovvertire

Guardando da lontano i treni stracolmi in partenza da Milano centrale, dopo l’annuncio del lockdown in Lombardia, ci siamo resi conto che stava succedendo qualcosa di straordinario.
Migliaia di meridionali, valigie alla mano, hanno percorso in controsenso la tratta migratoria che collega il Sud al Nord Italia. La gran parte dei vagoni erano carichi di studenti universitari: capitale umano in formazione nelle grandi fabbriche universitarie del Settentrione.
Un istinto. Paura. Una decisione presa in fretta e furia. Fuga da un Nord in piena emergenza. Una scelta che probabilmente farebbe chiunque corra il rischio di restare bloccato in una casa che non sa di casa. In un territorio a cui non ci si sente di appartenere. In cui, magari, si vive da anni, ma che è inevitabilmente destinato a rimanere estraneo.Molti di quei treni non ripartiranno a breve; alcuni, forse, sosteranno qui per sempre. Sappiamo bene che questo grande ritorno ha, come già detto, un carattere istintivo e di convenienza. Eppure, questa contingenza storica apre uno spazio di intervento che può ribaltare le caratteristiche del controesodo in corso. L’incremento di iscritti alle università siciliane è un chiaro segnale. La paura di rimanere confinati in una terra che non è la propria, lontani dai propri cari; il rischio di prendere una casa in affitto che potrebbe rimanere vuota; il terrore di rivivere i traumi dell’ultimo lockdown. Sono queste le ragioni che hanno portato molti a restare. Si sono poi aggiunti gli incentivi economici degli atenei locali: l’aumento della no tax area e il contributo economico stanziato dalla Regione Siciliana. Tasse azzerate per ogni studente fuorisede che decide di tornare a studiare in un ateneo siciliano. C’è pure la possibilità di rimanere iscritti ad atenei del Centro-Nord, seguendo le lezioni attraverso la didattica a distanza. Chiaramente queste misure non dureranno in eterno. Con ogni probabilità, già dall’anno prossimo, non saranno a disposizione degli studenti. E, insieme a loro, sparirà il beneficio degli effetti. Senza dubbio, però, questa situazione ha messo e metterà in crisi la condizione e la narrazione che attanaglia il Meridione. D’altronde, l’ambito della formazione è caposaldo del progetto di spopolamento e (conseguente) pacificazione sociale per il Sud.
Il sistema universitario depriva costantemente il Meridione delle sue risorse pensanti, delle sue forze più giovani. Del suo potenziale rivoluzionario. Alla costruzione di un racconto sulle Università del Sud che le vuole incapaci di fornire un approccio formativo di qualità, si accompagna l’effettivo definanziamento che investe gli atenei meridionali. Se sulla qualità della formazione si è speculato in eccesso, l’effettiva mancanza di servizi ha di certo contribuito ad alimentare questa tesi. Le classifiche universitarie nazionali, emblematiche di questo senso, ci mostrano, per l’ennesima volta, un’Italia spaccata in due. Un Meridione incapace di fornire quell’attestato di qualità che, inserito in bella vista sul curriculum, rende un soggetto competitivo nel mercato. E così che il ricatto sul futuro - nella sua forma meridionale, inevitabilmente vincolato alla partenza - si presenta già nelle fabbriche universitarie.
Eppure, quelle identità meridionali plasmate alla partenza si sono scontrate con forza d’urto con gli effetti materiali e psicologici che la pandemia ha causato. L’emergenza ha scosso, in modi e per ragioni diverse, le soggettività emigranti. Quello spiraglio d’azione, paradossalmente aperto da un lockdown, ha fornito, nel caso universitario, un’opportunità: quella della scelta. Scegliere di restare.
La logica sistemica affermatasi fino a prima della pandemia è in crisi. La possibilità che le ricadute di questa crisi non rimangano contingenza rappresenta l’attualità dello scontro con lo Stato italiano e i suoi interessi capitalistici sul Meridione. All’Università degli Studi di Palermo, al 23 settembre 2020, sono stati 1.300 gli iscritti in più rispetto al 2019. Il 25% del totale. A Catania, l’aumento del 5% delle iscrizioni ha portato a un aumento di 1.000 posti per i corsi a numero programmato. Una boccata d’ossigeno per gli atenei meridionali, una situazione non ammissibile per le economie del Centro-Nord. Le grandi città universitarie che, a causa di questa tendenza, perderanno grossi afflussi economici, sono ormai in allarme. Intere roccaforti economiche basate sulla presenza dei fuori sede rischiano di crollare come castelli di carta. Era giugno 2020 quando – a seguito del drastico crollo della domanda di stanze in affitto - Beppe Sala, sindaco di Milano, si è mostrato interessato e “preoccupato” per il tema del caro prezzi. O ancora: quando la Regione Siciliana ha stanziato quattro miliardi per supportare economicamente chi decide di tornare a studiare in Sicilia, dagli alti vertici della Crui – la Conferenza dei rettori delle Università italiane – si è urlato allo scandalo. «È concorrenza sleale» - hanno ammesso, senza remore.
Nessuno stupore. I tentativi della controparte di ristabilire l’ordine non mancheranno. Lo sappiamo. La crisi della normalità pre-pandemica può diventare potenza trasformatrice se le soggettività un tempo emigranti verranno indirizzate alla lotta. Partire è oggi un investimento – in senso capitalistico, ça va sans dire – sulla formazione. Restare significa ribaltare le logiche di un modo di fare profitto insito nel sistema universitario. Ma significa anche tornare a essere parte attiva di una comunità, tornare a vivere le contraddizioni che attraversano un territorio. Ridare vita a un tessuto sociale che in tutti i modi si è cercato di indebolire, assottigliare. Riportare indietro le sue forze generatrici, i giovani. La condizione personale di singolo che resta va trasformata in una possibilità collettiva di riscatto, di sovversione. Costruire una soggettività restante è, ora più che mai, nel Meridione e in Sicilia, una mossa obbligata.