Cosa ci dicono le elezioni americane del 2020

Cosa ci dicono le elezioni americane del 2020

guns
Da New York, Andrew Ross scrive sull'inquietante «ritorno alla normalità»

Grazie al grottesco campanilismo del sistema elettorale americano, il mondo è stato tenuto in ostaggio, ancora una volta, da qualche migliaio di elettori americani. Nonostante lo stallo di fatto dell’esito, siamo stati spinti a credere che, questa volta, il destino della democrazia fosse in bilico. Forse è così, ma il «ritorno alla normalità» negli Stati Uniti non è certo una prospettiva confortante.

Donald Trump ha già rubato più di quattro anni dalla nostra capacità mentale, ed è ben lungi dall’aver finito. Ad un certo punto, la nostra complicità con questo atto di saccheggio dovrà finire, ma ci vorrà un po’ di tempo per dare un calcio all’abitudine di Trump-watching. Nell’improbabile eventualità che si metta in disparte o che sia consumato da debiti e cause legali, la mentalità protofascista adottata dalla sua «base» bianca e arrabbiata rimarrà una forza con cui fare i conti. Il trumpismo sopravviverà sicuramente al suo capobanda. La sua politica di ressentiment, pur essendo saldamente nazionalista e isolazionista nella forma, ha una comprovata dimensione internazionale. Il sentimento anti-immigrazione risuona in tutto il mondo, in particolare nei paesi in cui la nostalgia per la supremazia bianca è capace di plasmare, se non di dominare, la vita politica.

Per il momento, riconosciamo che i riluttanti collaboratori di Trump al Congresso non sono scontenti di vederlo lasciare la Casa Bianca. Egli si è imposto al Partito Repubblicano e ne ha fatto gran parte a sua immagine e somiglianza. Non è mai stato un giocatore di squadra, è stato spesso una fastidiosa spina nel fianco e ha minacciato direttamente la legittimità dell'infrastruttura normativa attraverso la quale i Repubblicani hanno accumulato il loro potere. Ma ha fornito loro tutto ciò che volevano - un programma sostanziale di redistribuzione economica verso l’alto, centinaia di giudici di destra affidabili, la guerra economica istituita come politica estera e una vasta deregolamentazione dell'industria basata sui combustibili fossili, per citare solo quattro punti di una lunga lista dei desideri dei conservatori. Inoltre, quasi certamente li aiuterà a mantenere il potere del Senato, assicurando il tipo di stallo legislativo che Wall Street brama.

Con le elezioni, il Partito Repubblicano ha rafforzato il suo potere in tutti gli stati del Paese. Questa notevole impresa garantisce un blocco delle future elezioni perché dà ai repubblicani il controllo sul processo di gerrymandering (manipolazione N.d.T.) dei distretti di voto sulla base dei dati del censimento del 2020. Sebbene quasi tutte le città americane siano blu (democratiche), la maggior parte dei governatori e delle legislature statali che detengono i cordoni della borsa sono di colore rosso (repubblicane) intenso, e le loro fedeli circoscrizioni rurali sono state fortificate dall'arrivo di repubblicani ricchi usciti dalle città nell'ultima ondata di white flight - la «fuga dei bianchi» dai contesti urbani. 

Se i dati degli exit poll sono credibili, anche i repubblicani hanno ottenuto buoni risultati tra i gruppi minoritari, smentendo la tesi secondo cui «lo scurirsi dell'America» suggellerà il destino del partito. Forse il dato che colpisce di più è stato il notevole successo repubblicano nelle contee di confine del Texas meridionale, tra le popolazioni di origine messicana che Trump ha demonizzato senza sosta (anche se ciò può essere stato dovuto all'alto tasso di occupazione dei latinos nell'apparato di pattugliamento delle frontiere e nel sistema di detenzione). Il partito ha anche mantenuto il suo appello generale agli elettori della classe operaia, compresa una parte significativa dei lavoratori sindacalizzati. È molto difficile immaginare che i repubblicani si riaffermino come veri rappresentanti della classe operaia, ma la loro manipolazione del sentimento anti-elitario va avanti ormai da abbastanza tempo da essersi radicato in un terreno fertile. Gli aspiranti leader di partito hanno cominciato a speculare sulla prospettiva di realizzare questo obiettivo; come ha detto Mario Rubio, senatore della Florida e contendente alle primarie presidenziali del partito repubblicano nel 2016, dopo le elezioni: «Il futuro del partito si basa su una coalizione multietnica e multirazziale di lavoratori».

In confronto, i democratici hanno dirottato i voti tra le frazioni ascendenti del ceto medio nelle aree suburbane e hanno consolidato la forza del partito tra le popolazioni istruite ed elitarie. In effetti, il partito si è mosso inesorabilmente in questa direzione, abbandonando ogni aspirazione ad affrontare direttamente le difficoltà delle popolazioni lasciate indietro dalla deindustrializzazione, dall'esternalizzazione e dai tagli pubblici. Come misura di questo fenomeno, si consideri che per Joe Biden la classe media (da proteggere da qualsiasi aumento delle tasse) corrisponde alle famiglie che guadagnano meno di 400.000 dollari. Secondo i dati del censimento più recente, il reddito medio annuo delle famiglie negli Stati Uniti è di 68.703 dollari, e quindi l'inclinazione di «Middle Class Joe» a estendere questa categoria amorfa della coscienza di classe statunitense è indicativa delle priorità del suo partito ad oggi. 

Certo, non doveva essere per forza così. Fino a quando l'establishment democratico non ha cospirato per neutralizzare Bernie Sanders nel bel mezzo delle campagne primarie, i socialisti americani hanno avuto un alto profilo, un portabandiera elettorale per la prima volta dalla candidatura di Eugene Debs alla presidenza nelle elezioni del 1920. Durante la sua campagna fenomenale, Sanders dimostrò di avere un sostegno della classe operaia molto più forte di quanto Biden o Trump fossero in grado di raccogliere, soprattutto tra gli elettori latinos dell’Ovest. Prima che Barack Obama e gli altri agenti di potere del partito decidessero di bloccare il suo percorso verso la nomina, sembrava che avremmo avuto un candidato veramente di sinistra al ballottaggio del 2020. Il forte sostegno di Sanders alla redistribuzione economica sarebbe stato un messaggio vincente nel profondo della recessione del coronavirus. Avrebbe parlato delle circostanze concrete delle persone che si trovano ad affrontare condizioni di disagio che non si vedevano dagli anni Trenta. Senza Sanders, la campagna presidenziale nazionale dei Democratici non poteva proiettarsi al di là del falso compromesso presentato alla maggior parte degli elettori come una scelta tra la sopravvivenza economica e una politica per far fronte al COVID. 

A differenza dell'ultima candidatura presidenziale di Jesse Jackson nel 1988, dopo la quale la sua Rainbow Coalition si è disfatta, pare che il network organizzativo dietro Sanders stia solamente guadagnando forza. Il gruppo progressista del Congresso conosciuto come «The Squad» ha fatto progressi elettorali, aumentando il numero dei suoi rappresentanti eletti. Finora, gli sforzi per emarginare le loro voci non hanno avuto il successo che ha avuto la campagna per l'epurazione di Jeremy Corbyn e dei suoi sostenitori dal Partito laburista britannico. Anche se i socialisti democratici americani hanno dei portabandiera, come Alexandria Ocasio-Cortez, nella cabina di pilotaggio della politica nazionale, sono determinati a costruire sistematicamente il potere nelle elezioni locali e statali, partendo dalle fondamenta. Il contraccolpo centrista contro i loro obiettivi politici - rendere l'alloggio, l'assistenza sanitaria e l'istruzione come diritti fondamentali - si è scontrato con la loro comprovata capacità di conquistare seggi, e anche con le prove elettorali che tali politiche sono molto popolari.   

Sembra che Sanders sia inciampato tra gli elettori neri conservatori del Sud più o meno per le stesse ragioni per cui l'ha fatto nella corsa del 2016 contro Hillary Clinton (vedi la mia analisi per Commonware). Eppure la sovversione della sua campagna da parte dei vertici democratici, che ha demoralizzato una generazione di giovani, si è verificata appena due mesi prima dell'uccisione di George Floyd a Minneapolis. L'insurrezione che ne è scaturita ha riconquistato la loro energia e ha rimodellato il paesaggio della politica razziale statunitense. Le prove che le persone di colore stavano morendo di Covid in numero maggiore dei bianchi ha rafforzato l'urgenza morale delle proteste. Quella che era iniziata come esplosione di rabbia verso la brutalità poliziesca si è trasformata in una profonda condanna dell'ingiustizia razziale in ogni angolo della società. Lo slancio delle proteste era destinato a portare un peso enorme alle elezioni del 2020. In risposta, i più anziani e più conservatori degli afroamericani hanno anticipato un contraccolpo - perché l'America Bianca ne ha sempre uno – allineandosi ancora una volta al porto sicuro del centro democratico di Biden. Ma la militanza dei giovani di colore e dei loro alleati è confluita in un'organizzazione urbana che ha fatto la differenza nell'affluenza alle urne negli Stati del Nord come la Pennsylvania e il Michigan, e nello Stato del Sud della Georgia, dove la New Great Migration ha visto un flusso costante di afroamericani che tornano ad Atlanta e in altre città dello Stato. 

Chiamati all'urgente compito di rovesciare l'ondata di supremazia bianca e lo spettro sottostante del fascismo, i giovani animati dalle proteste di Black Lives Matter hanno visto la loro partecipazione a queste elezioni come non facoltativa. Ma nessuno si aspetta che le richieste abolizioniste del movimento siano prese sul serio dall'amministrazione Biden. Nella sua campagna 2008, che ha avuto successo, Obama si è affidato a una vasta rete di organizzatori di base per entrare nella Casa Bianca, per poi tagliarli fuori scelleratamente durante gli anni del suo mandato. Biden non era dipendente allo stesso modo, e ha preso in anticipo le distanze dall'approvazione di ogni possibile interpretazione dello slogan «defund the police». 

Tuttavia, la richiesta di ridurre il potere della polizia, di tenere a freno gli agenti che si occupano di immigrazione e di smantellare il sistema carcerario continuerà a risuonare all'interno della società civile. Tutti i tipi di istituzioni - educative, culturali e commerciali - continueranno a cercare il modo di riparare all'ingiustizia razziale. La tanto proclamata chiamata a «Decolonizzare» avrà una vita più lunga della di quella avuta dallo slogan «Occupare» durante la Grande Recessione, se non altro perché l'opera di decolonizzazione non è mai terminata. 

Questo movimento decoloniale può fondersi con le iniziative di giustizia economica (in materia di alloggi, debito e salute) già generate dalle difficoltà della recessione del coronavirus? Emergerà una rainbow coalition con una coscienza di classe, o naufragherà, ancora una volta, sulla dicotomia artificiale tra politica di classe e politica dell'identità?  

Mentre entriamo nella seconda o terza ondata di COVID-19, la piaga della disoccupazione torna a tormentare le famiglie americane. È prevista una stagione crudele di sfratti e pignoramenti, e l'indebitamento di massa legherà ancora un'altra generazione alla classe dei creditori. In un Paese con una rete di sicurezza così debole il peggioramento delle condizioni materiali è l’unica garanzia. Al contempo, l’immagine di milizie bianche pesantemente armate che pattugliano le strade in pieno giorno, con il supporto attivo delle forze di polizia urbana, sta diventando sempre più normativa. Circostanze come queste richiedono risposte creative e radicali. Lo spettacolo dello scontro presentato dalle elezioni del 2020 ricorda della ardua strada che ci attende.

Trump può essere caduto, ma i fascisti incipienti sono ancora al potere in paesi così disparati come l'India, il Brasile, Israele, la Polonia, la Turchia, l'Ungheria e le Filippine, e l’estrema destra avanza, non si ritira. Si è tentati di ricordare le parole di Gramsci negli anni Trenta: «La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Egli osservava l'ascesa del fascismo e le esplosioni di massa del malcontento durante una grave depressione economica. Nonostante i paralleli superficiali, l'interregno che stiamo vivendo oggi è un interregno in cui la morte del neoliberismo è stata dichiarata a più riprese dal crollo finanziario del 2008, eppure non è ancora nato un successore stabile. Per Gramsci, la speranza di un mondo nuovo, in Italia e non solo, assumeva una forma comunista. Dal nostro punto di vista, dobbiamo lottare, come lui, per una visione politica altrettanto coerentemente internazionalista, e quindi impermeabile ai blocchi provinciali posti sulla sua strada dalla politica elettorale statunitense.


Andrew Ross è un attivista sociale e professore alla NYU. È autore di oltre venti libri, tra cui il recente Under Conditions Not of Our Choosing (Juxta Press).

Versione Inglese

Etichette
Sezioni
Autore