Scovare e aprire spazi di possibilità: la conricerca

Scovare e aprire spazi di possibilità: la conricerca

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Una recensione di Francesca Ioannilli al libro "Pratiche di inchiesta e conricerca oggi" a cura di Emiliana Armano, ombre corte, Verona 2020.

Il libro Pratiche di inchiesta e conricerca oggi (ombre corte 2020) a cura di Emiliana Armano, raccoglie i contributi di Sandra Busso, Kristin Carls, Daniela Leonardi, Cristina Morini, Annalisa Murgia, Paola Rivetti, Devi Sacchetto, Raffaele Sciortino e Steve Wright.

Attraverso l’approccio della conricerca, di cui Romano Alquati fu uno dei principali militanti e teorici, vengono indagate trasformazioni più o meno recenti nel rapporto con le soggettività coinvolte. L’introduzione scritta da Emiliana Armano e i due testi in appendice spiegano con chiarezza alcune ipotesi teoriche e categorie analitiche utili per approcciarsi alla realtà; le inchieste che compongono il libro le usano in parte, in linea con il senso attribuito alla teoria da Alquati stesso, cioè di uno strumento per leggere e trasformare la realtà. Come si legge: «L’intento di fondo non è di andare a trovare il “vero Alquati” quanto invece di stimolare oggi una rielaborazione fruttuosa di quelle categorie analitiche e di quel modo di approcciare la realtà». Il testo è quindi utile perché introduce alla figura di Alquati, ancora in parte e purtroppo sconosciuta, e approfondisce la pratica della conricerca attraverso alcuni esempi di iniziale messa in pratica.

Tornare a parlare di inchiesta e conricerca nell’oggi è tanto importante quanto rischioso. Importante perché nel contesto attuale, segnato da una crisi che si è fatta sistema, sembrerebbe naturale scorgere l’inizio di mobilitazioni; e laddove non è stato e non è così la conricerca serve a questo, ossia a capire in maniera più approfondita e diversa la realtà per innescare processi di conoscenza e trasformazione collettiva che possano anticipare, stimolare e direzionare cicli di lotte. Rischioso perché il venir meno oramai da tempo del tentativo anche solo di provare a innescare processi di messa in discussione collettiva dello stato di cose presente e potenzialmente quindi di rottura rischia di cambiare di segno lo scopo e la pratica stessa. Senza la volontà e possibilità di inserirsi in contesti reali e vivi, lasciarsi trasformare da questi e trasformarli, si rischia di astrarre quel tipo particolare di conoscenza dal suo essere invece pienamente materiale, dal suo essere una pratica e non «una metodologia critica di ricerca sociale», come viene sottolineato nell’introduzione.

Le definizioni che si possono dare di cosa sia la conricerca sono innumerevoli: una teoria applicata, una pratica militante, la messa in discussione della separazione tra produzione di sapere e produzione di organizzazione, così come tra ricercatore e oggetto della ricerca. L’essenza emerge dallo scopo: acquisire nuova e ulteriore conoscenza, una conoscenza più potente per trasformare la realtà circostante. E allora, se la conricerca è la pratica del militante e i militanti diventano tali solo nella lotta (come ci ricorda Steve Wright in uno dei due testi in appendice), quando le lotte non ci sono chi fa conricerca? Possiamo ancora parlare di conricerca? Anticipiamo, la nostra risposta è sì, e ora come allora ne abbiamo ancora la necessità.

Un’altra questione che il libro ci consente di porre riguarda la possibilità o meno di assumere la pratica della conricerca all’esterno del modello alquatiano. Di quella rappresentazione della società come sistema complesso, organizzato gerarchicamente e suddiviso per livelli di realtà, che vanno intesi come astrazioni, che servono a rappresentare il rideclinarsi costante dello stesso processo, di uno scontro tra parti che deve continuamente riconfigurarsi. Se la scrittura del Modellone (cioè della sua proposta di lettura complessiva del capitalismo contemporaneo e della possibilità di fuoriuscirne) è del «secondo Alquati», è anche vero che di Alquati ce n’è uno solo. La sistematizzazione di quella rappresentazione avviene a posteriori ma sembrerebbe che il modo, l’approccio, la lente con cui analizza la realtà siano rimaste le stesse durante tutto il corso della sua produzione teorica; una produzione complessa, aperta e indeterminata, perché indeterminato è l’esito del processo di produzione e riproduzione sistemico che descrive.

In questo i livelli di realtà sono fondamentali, sono ciò che consente di approfondire ma anche generalizzare, cogliere la tensione costante tra struttura e processo, permanenza e mutamento. Collocare le osservazioni fatte sui livelli, anche se non formalmente, è quello che gli ha consentito di anticipare e individuare comportamenti ambigui che già esprimevano forme di rifiuto e una politicità intrinseca che solo poi si sarebbe fatta esplicita; di criticare la processione degli studenti davanti ai cancelli della Fiat e sostenere che anche l’università già ricopriva e avrebbe sempre più ricoperto una posizione di baricentralità per il sistema. Che era la mercificazione, lavorizzazione e messa a valore di capacità e di saperi di operai e studenti a produrre ricchezza, era la riproduzione in una certa maniera di queste a essere fondamentale. In entrambi i terreni quindi bisognava radicarsi, esasperare le contraddizioni, aprire spazi di potenziale conflitto.

È proprio quella stratificazione che lo porta a soffermarsi anche su quel che resta e non lasciarsi trasportare dalla corrente del «tutto è cambiato», «il capitalismo è in crisi e presto finirà», «prima dovevamo guardare alla produzione e ora alla riproduzione», «prima agli operai ora al cognitariato», passando da un estremo all’altro come banderuole alla mercé della moda concettuale del momento. Alquati è quindi in grado di non cadere nella trappola della rappresentazione che il capitalismo dà di sé, riuscendo invece a svelare le basi stesse su cui si regge: come? Assumendone il punto di vista, descrivendo la gabbia nella quale il sistema ci ha inserito per poterne uscire, o almeno per avviare percorsi reali che mirino alla fuoriuscita. E la conricerca, nel suo essere «incontro e apertura di nuove possibilità politiche da costruire insieme», come ben sintetizza Devi Sacchetto, può forse essere in ultima istanza spiegata così: la capacità di coniugare i livelli bassi di realtà con quelli alti. Praticare la conricerca ci consente di leggere le trasformazioni senza vederle come assolute, totalizzanti o definitive e anticipare quindi le tendenze in atto, provare a individuare i nodi che si verranno a creare, scovare e aprire spazi di possibilità. 

Si possono portare avanti percorsi di conricerca in diversi ambiti: il lavoro e le sue trasformazioni, la precarietà, il mondo dell’università e della formazione, le mobilitazioni e i movimenti, si tratta di conricercare se è un ricercare insieme. Sta lì la rottura della dicotomia soggetto-oggetto, di quel presupposto per cui c’è qualcuno che insegna e che quindi già sa, e qualcuno che deve solamente imparare. Si intraprendono percorsi di conricerca proprio perché non si sa abbastanza e contemporaneamente al sapere si vuole anche produrre conoscenza nuova. Per fare questo sarebbe controproducente piegare la realtà alla teoria, è il procedimento inverso che interessa. Se la teoria non serve a spiegare la realtà ne vanno cambiate le categorie, ribaltate le assunzioni, formulate nuove ipotesi e poi messe a verifica. In che modo? Tentando di organizzare percorsi di lotta. Come? È ancora il nodo irrisolto.

Che cosa si conricerca? Su che cosa si fa inchiesta? Non tanto sulle condizioni dello sfruttamento, o sulle trasformazioni del lavoro, o meglio non solo. In ultima istanza l’oggetto dell’inchiesta alquatiana, quella a tiepido e non «a caldo», sono le soggettività, in continuo mutamento, intrinsecamente ambivalenti, potenzialmente antagoniste. 

Come si evince dal testo, per individuare nodi e comportamenti, sensazioni e percezioni non è necessaria un’analisi quantitativa ma qualitativa. Nel libro, viene prestata particolare enfasi a focus group, interviste in profondità e al metodo della narrazione, che possono concorrere a creare spazi di discussione e condivisione per riflettere sul proprio vissuto e avviare processi di soggettivazione condivisa. Gli spunti e le suggestioni che emergono dalle parole degli intervistati/e o da chi ha condotto un’autoinchiesta sono numerosi, in particolar modo su quali siano le percezioni che potenzialmente possono avviare il costituirsi di gerarchie di priorità collettive prima altre e poi contro, l’inizio quindi di una ridefinizione di fini e scopi. A tratti però la conricerca rischia di essere ridotta a una semplice questione di metodo, accostata sia all’inchiesta che alla narrazione. Se invece assumiamo, come il libro ci suggerisce, un’attenzione al divenire, la conricerca può essere intesa come il processo più ampio nel quale si inseriscono più inchieste. Laddove queste mettono a fuoco situazioni specifiche che vanno inserite in una cornice più grande in grado di generalizzarle, e spostarne i confini. 

Con inchiesta, quindi, intendiamo sia un metodo che può servirsi di diversi strumenti più o meno strutturati, sia, e verrebbe da dire forse soprattutto, la capacità e volontà di essere politicamente curiosi, di porsi dei dubbi, di scioglierli solo nella creazione di altri. Non la ricerca della conferma delle proprie ipotesi, ma la smentita di queste, la ricerca di quel qualcosa che non si era visto e proprio per questo può servire al processo collettivo. Può assumere forma strutturata, ma è anche il semplice incontro/scontro con soggettività differenti, il mutarsi reciproco e sciogliersi in qualcosa di differente.

Un ultimo spunto riguarda i linguaggi assunti. In Alquati vi è un’attenzione particolare ai termini, la creazione di tanti neologismi. Non si tratta di vezzi stilistici, ma di scelte, della volontà di esprimere qualcosa di diverso, cambiare concetti che sono già imbrigliati in un significato che non esprime più il vero, per dare non una forma ma una sostanza differente. Attenzione però, la creazione viene fatta ex post: prima si ricerca e poi si scrive. Se si intraprende un’inchiesta avendo già scelto i termini centrali che vogliamo far emergere, parole belle per la loro sonorità o perché le ha usate qualcuno di riconosciuto, si leggerà tutto in quell’ottica. Non si produrrà conoscenza nuova, si continuerà a guardare indietro. La conricerca risulta quindi essere non solo un approccio di ricerca, ma uno stile vero e proprio di militanza, cioè di condurre la propria vita, non adatto a tutti.

E allora, che cos’è la conricerca? Chi fa conricerca oggi? Ce lo dice lo stesso Alquati: «Essa è una strada con momenti di fatica e magari anche di noia per chi ritiene di percorrerla perché considera invivibile questo mondo e vuole quindi trasformarlo nella direzione dei suoi desideri non soddisfacibili in esso (questo è il grande punto della motivazione dei conricercanti). E per questo sarà anche disponibile a pagare dei costi. Se si sta già bene nel capitalismo e si gode già abbastanza di esso ed in esso lui, la conricerca non interessa».

 

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