Dopo il Trumpismo. Intervista a David Roediger

Nel tuo recente libro The Sinking Middle Class hai sostenuto che la vittoria di Trump nel 2016 è stata il risultato di uno spostamento delle preferenze degli elettori bianchi di tutte le classi sociali verso i repubblicani. Che cosa è successo in queste ultime elezioni, quegli elettori bianchi sono semplicemente tornati indietro?
Nessun candidato democratico alla presidenza ha vinto il «voto dei bianchi», dopo Lyndon Johnson 56 anni fa. Nel 2016, Trump ha prevalso tra i bianchi di 20 punti. Nel 2020 è scivolato, ma ha mantenuto un vantaggio del 17%. Tuttavia, alcuni importanti cambiamenti hanno riguardati alcuni gruppi chiavi. Nello stato del Michigan, ad esempio, nonostante Hillary Clinton abbia complessivamente perso, tra le donne bianche laureate ha preso il 6% in più del suo avversario. Sempre queste figure hanno poi fornito a Biden un cuscinetto da 20 punti nel 2020. Tra gli uomini bianchi non laureati, Trump ha avuto il 30% dei consensi nel 2020, ma il suo slittamento resta critico: in quello stesso gruppo, nelle elezioni precedenti, aveva ottenuto un vantaggio di 44 punti.
Nel libro proponi una connessione tra l'identità della classe media e l’identità bianca. Ritieni che la crisi della classe media abbia svolto un ruolo nell’ascesa del suprematismo bianco e, al contempo, nella partecipazione di ampie fasce di bianchi alle rivolte dei neri?
Apprezzo il fatto che richiami sia le rivolte che il nazionalismo bianco. Non sono solo le piazze a registrare questa apertura alle iniziative di giustizia sociale. Si riscontra anche in ambito elettorale, ad esempio, tra i lavoratori bianchi laureati che percepiscono un reddito relativamente basso, una frangia elettorale che è saldamente anti-Trump, e che i sondaggi mostrano in gran parte favorevole a BLM e contraria alla costruzione di un muro al confine. Sono le stesse persone che quando i vantaggi dell'essere bianchi e di ceto medio sembravano più sicuri, avrebbero gravitato intorno alla politica centrista o addirittura a quella conservatrice.
Il volto pubblico del nazionalismo bianco rimane quello del bianco povero, ma dal sito Breitbart ai Proud Boys gli appelli sono chiaramente diretti verso un ceto medio bianco agguerrito, disorientato, e con una certa aspettativa. Tali appelli sono diretti sia a chi è stato declassato sia a chi è riuscito a mantenere i propri privilegi. Non fanno semplicemente appello all'ansia per il declassamento, ma richiamano anche la straordinaria pressione del debito, del lavoro eccessivo e dei regimi di gestione a cui sono sottoposti molti di coloro che pensano di far parte della «middle class».
Quale ruolo pensi che abbiano avuto le lotte in risposta all'assassinio di George Floyd nel risultato delle elezioni, e quali direzioni pensi che il movimento BLM possa prendere sotto la presidenza Biden? Secondo te Biden si troverà di fronte, come è già successo a Obama, un processo di rivolte e mobilitazioni?
Le ribellioni hanno avuto effetti diversi sul contesto elettorale. In molte città, anche piccole, si vedevano molti più cartelli di BLM che di BIDEN-HARRIS. Soprattutto a Kenosha, nel Wisconsin, dopo la risposta sfrenata di Trump all'omicidio della polizia e poi al duplice omicidio di un vigilante bianco. Lì, credo che l'energia della protesta popolare si sia tradotta in voti per Biden. D'altra parte, gli spot della campagna elettorale di Trump mostravano filmati della ribellione per spaventare gli elettori rispetto alla richiesta dei tagli ai fondi della polizia. Nell’area maggioritaria dei Democratici alcuni hanno spiegato perché le elezioni sono state vinte con un margine così stretto richiamando il sostegno a BLM.
La memoria popolare negli Stati Uniti sbaglia quanto ritiene che Obama avesse una risposta per gli omicidi di neri e indigeni da parte della polizia che invece Trump non ha avuto. Non ce l'aveva neanche Obama. Durante le grandi proteste come quelle per l’omicidio di Mike Brown nel Missouri nel 2014, è rimasto per lo più in silenzio. Nonostante ciò, è riuscito a coltivare rapporti cordiali con alcuni membri di BLM. Tuttavia, il movimento è tutt’altro che soddisfatto del lavoro svolto dal Dipartimento di Giustizia di Obama. Si è prevalentemente limitato a effettuare delle verifiche quando i procuratori locali non hanno agito o indagato su alcune, consolidate, pratiche di polizia, ottenendo talvolta l’introduzione di lievi riforme.
Biden godrà del grande vantaggio di succedere a Trump. Tuttavia, sembra fin dall'inizio promettere che l’unica cura saranno le verifiche e che i tagli alla polizia sono fuori discussione. I precedenti di Biden in materia di criminalità e detenzione sono terribili e farà fatica a trovare il rapporto che Obama è nonostante riuscito ad ottenere con alcuni leader della protesta. Il vicepresidente Kamala Harris, con la sua reputazione di ex-procuratrice, potrebbe non essere di grande aiuto in questo senso e siccome la polizia statunitense commette regolarmente questi crimini, è probabile che la tragedia vada avanti.
Si è parlato molto di un’America divisa sia prima che dopo i risultati delle elezioni. Prendi sul serio i discorsi riguardo una nuova «guerra civile»? Se sì, su quali linee si potrebbe tracciare una tale guerra? Se no, perché no?
Durante la campagna elettorale del 2020, alcuni degli studiosi della storia della presidenza americana che sono andati in televisione – sorprendentemente, ce ne sono molti negli Stati Uniti - hanno proposto un parallelismo con le elezioni del 1876 che si sono concluse con risultati molto controversi, risolti solo grazie a un compromesso organizzato dietro le quinte dalle élites. Nel 1876 si era parlato della necessità di raggiungere un accordo perché non tornasse la guerra civile. Nel 2020 ci hanno detto che se i risultati avessero permesso a Trump di rivendicare la frode, sarebbe potuta scoppiare la guerra civile. In nessuno dei due casi un tale cataclisma è stato nell'ordine delle possibilità. Le guerre civili non iniziano con tale facilità e la politica statunitense nel 2020, come nel 1876, non prevede divisioni politiche di tale peso e profondità.
Le guerre civili chiamano in causa le grandi questioni della proprietà, della sovranità e della libertà, che non erano presenti né nel 1876 né nel 2020. Nessuno degli studiosi della storia della presidenza americana paragonerebbe mai le elezioni del 2020 a quelle del 1860, quando tali questioni erano presenti e la guerra civile davvero incombeva. Nel 1876, le truppe federali che proteggevano i diritti civili dei neri al Sud erano quasi completamente scomparse. Il suffragio alle donne era stato accantonato e sparì dall'agenda nazionale per molti decenni. La grande richiesta popolare di una giornata lavorativa di otto ore aveva prodotto solo una manciata di trionfi legislativi simbolici, ormai chiaramente inapplicabili. – La rapida e omicida espansione nelle terre indigene che caratterizza l'attività del governo in questo periodo, non provocò divisioni né tra le élite né tra la massa degli elettori.
Nel 2020 il COVID, il comportamento scorretto e altalenante di Trump, i suoi gesti da nazionalista bianco e il suo passato da predatore sessuale sono questioni allarmanti, destano imbarazzi, ma la vita politica degli Stati Uniti non è solo questo Nessuno si accorge del declino della Nazione come potenza imperiale egemonica. Il muro di confine (che è stato sostenuto da entrambi i partiti) per la gran parte non è stato costruito ma le migrazioni sono rallentate a causa del COVID e per la perdita di attrattività degli Stati Uniti. Roe v. Wade [una storica sentenza della Corte suprema del 1973 che rappresenta uno dei principali precedenti riguardo alla legislazione sull'aborto - Ndr] continua a rappresentare una protezione legale per il diritto di aborto anche se rimane molto difficile per le donne povere ottenere un aborto. Entrambi gli schieramenti politici sostengono il finanziamento della polizia e nessuno dei due è disposto a sostenere Medicare for All. L'austerità è rimasta all'ordine del giorno bipartisan anche durante la pandemia.
Non è questo il terreno politico che porta alla guerra civile e nonostante i risultati relativamente ravvicinati tra i due candidati e l'istrionico richiamo di Trump, un trasferimento ordinato di potere non è in discussione. Gli Stati Uniti non soffrono di troppa divisione interna ma di troppa poca.
Quali precedenti al Trumpismo è possibile vedere nella storia degli Stati Uniti? Cosa ha in comune o di diverso da altri «populismi» precedenti come il movimento legato a George Wallace negli anni Sessanta?
Credo che i predecessori siano bipartisan. Il padre di Trump era un democratico — anche se il famigerato demagogo anticomunista Roy Cohn è stato l’avvocato che lo ha affiancato nella costruzione del suo impero immobiliare — come lo era Donald Trump fino a poco tempo fa. Il favolosamente ricco padre di Jared Kushner [suocero e senior advisor di Trump - Ndr] ha servito così bene la macchina politica dei Democratici nel New Jersey che è andato in prigione per contributi elettorali illegali e corruzione di testimoni. La cinica convinzione che la classe operaia possa essere manipolata da appelli elettorali scollegati dal cambiamento strutturale supera le linee di partito; sono i cosiddetti appelli «dogwhistles»,che sollevano lo spettro della vittimizzazione dei bianchi senza cadere completamente nel linguaggio razzista.
Wallace era un democratico segregazionista. Per un breve periodo era stato candidato alla presidenza per un terzo partito di destra e in tarda età è ritorna sia come cristiano che come democratico tradizionale. A volte, i suoi successi, per esempio nelle primarie democratiche del Michigan, sono stati spiegati come quelli di Trump, sottolineando il conservatorismo della «classe operaia bianca». In realtà, in entrambi i casi sono dipesi da dinamiche di classe molto più complicate. Un predecessore di Trump, forse più plausibile, è Ronald Reagan, anch'egli un ex democratico, arrivato alla politica elettorale molto tardi, che ha padroneggiato l’uso dei media e manipolato in modo spietato gli appelli razziali. Trump, però, ha un legame molto più stretto con il mondo degli affari, per via degli enormi interessi di famiglia che cura in qualità di amministratore delegato e leader politico autoritario.
Quale futuro vedi per il «populismo» Trumpista? La frustrazione che ha espresso può essere riassorbita o continuerà a crescere sotto altre forme?
Nell politica statunitense, è improbabile che il termine «populista» si riveli utile a qualcuno che non sia la destra nel prossimo futuro. Sono passati 125 anni da quando il concetto esprimeva un contenuto chiaro e programmatico, capace di sfidare le élite e dare potere ai poveri. A sinistra il termine «socialista», per quanto mal definito, è più conosciuto e per il momento molto apprezzato. Tra i liberali, l'uso positivo del concetto di «middle class» (o l’insolito sostegno alle «working families») sembra ancora definire i limiti entro cui difendere la gente comune.
La versione Trumpista del populismo autoritario gira attorno a un paio di questioni fondamentali. La prima è se il «razzismo daltonico» – che dice di non vedere le differenze razziali ma professa un amaro senso di vittimizzazione dei bianchi – possa costituire una solida base per il nazionalismo bianco quando ci sono nel mondo politico tanti Biden disposti a mettere da parte le iniziative di giustizia razziale. Il secondo problema è quello di come portare a termine l’isolazionismo dell’America First nella politica estera, mantenendo allo stesso tempo il ruolo del dollaro nell’economia mondiale.
Sembra probabile che tweet dopo tweet, processo dopo processo, incapace di rinunciare ai riflettori e geloso del suo status di leader del partito repubblicano, Trump abbia preso una sbandata. Il fatto che riuscisse a imporsi dominare e a posare con successo dipendeva, almeno in una certa misura, dal suo essere un vincente, ricco, al centro dell'attenzione e presidente. Presto perderà la maggior parte di queste prerogative, forse tutte, e dovrà affrontare la difficoltà di ridimensionare la sua figura autoritaria. E’ anche difficile immaginare che Trump ceda la leadership a qualcuno della sua famiglia. Né sembra che lo scettro possa passare al tanto citato personaggio televisivo di destra Tucker Carlson, che sta perfezionando la retorica anti-corporation, ma rimane pienamente patrizio nel suo taglio di capelli e nel suo ghigno. Il più grande ostacolo a un populismo di destra che si rinnova dopo il Trumpismo è proprio lo stesso Trump.