Contro le leggi della storia. Intervista ad Asad Haider (II)

Contro le leggi della storia. Intervista ad Asad Haider (II)

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Intervista ad Asad Haider su Black Lives Matter, le elezioni presidenziali e il futuro dei movimenti statunitensi

Asad Haider è un ricercatore statunitense e fondatore della rivista Viewpoint Magazine. Nel 2016 è stato autore di un libro intitolato Mistaken Identity: Race and Class in the Age of Trump (Verso, 2016) ed è editore di una prossima antologia intitolata The Black Radical Tradition: A Reader (Verso, 2021). Nella prima parte dell’intervista che abbiamo svolto con Haider, si è parlato della politica dell’identità in America, il rapporto tra “razza” e “classe”, la teoria intersezionale e il concetto di “vittimità”. Questa seconda parte tratta del movimento Black Lives Matter, le elezioni presidenziali e il futuro dei movimenti statunitensi. Qui si trova la prima parte dell'intervista

 

In Mistaken Identity hai sostenuto che le rivolte del 2013 e del 2014 hanno avuto inizialmente un "nascente contenuto di classe" e che è poi emersa una tendenza reazionaria sotto forma di identity politics, un processo che forse potremmo rintracciare anche nelle proteste dopo l’assassino di George Floyd nel 2020. Puoi spiegarci cosa intendi per "nascente contenuto di classe"?

C'è un contenuto di classe almeno su due livelli. Uno è che i poveri che appartengono a tutti i tipi di cosiddette razze vengono uccisi dalla polizia. In  modo sproporzionato vengono uccisi i neri e il motivo non è difficile da capire data la storia americana. Ma tutti i poveri sono spesso sottoposti alla violenza della polizia. Quindi un movimento contro la violenza della polizia, anche se si articola nel quadro dell'antirazzismo, ha il potenziale di essere un movimento che va a beneficio di chiunque rischi di essere ucciso o ferito dalla polizia. L'altro senso è che quando si hanno movimenti di massa, e quando si ha una sollevazione spontanea, ci sarà sempre la partecipazione delle classi sfruttate, perché sono semplicemente la maggioranza della popolazione, e se non ci sono lavoratori non si ha un movimento di massa. Questi sono due aspetti che hanno un carattere di classe.

Anche se un movimento di questo tipo non avesse un chiaro contenuto di classe, potrebbe comunque meritare di essere sostenuto, nel senso che nessuno vuole che qualcuno venga ucciso dalla polizia e al contempo si è contro lo stato capitalista. Dico questo solo perché non credo che si voglia dire che un movimento è per l’emancipazione solo quando si scopre il suo carattere di classe. Non possiamo dare questo giudizio a priori. Ma alla fine un movimento per l’emancipazione  deve liberarsi del capitalismo, quindi la classe dovrà sempre, a un certo punto, entrare in gioco o il movimento non avrà più un carattere di emancipazione.

 

Pensi che quella che chiami la "tendenza reazionaria" fosse un limite interno del movimento, nel senso che la natura di quelle lotte rendeva inevitabile il loro recupero e la loro sconfitta?

Ci sono certamente tendenze reazionarie che vengono dalla partecipazione della classe media liberale. Con il cambiamento degli atteggiamenti sociali sulla razza negli Stati Uniti, il sostegno a questo tipo di movimenti è cresciuto e c'è stata una maggiore partecipazione da parte dei bianchi. Quello che è successo nel corso dell'estate è stato di una portata senza precedenti e ha coinvolto tutti i tipi di persone, sia i lavoratori che i liberali benestanti. Per ovvie ragioni le persone benestanti sono di solito di destra, ma ce ne sono anche molte che sono liberali, il che ha a che fare, in primo luogo, con il fatto che il liberalismo è diventato solo una variante della destra nello spettro politico americano, e in secondo luogo con il fatto che la società in qualche modo è davvero cambiata.

Negli anni in cui sono cresciuto c'era un sacco di razzismo molto elementare e costante a cui bisognava solo abituarsi. A livello culturale c'è stato un enorme miglioramento, anche se questo non corrisponde direttamente a grandi cambiamenti strutturali. A volte la gente dice che la situazione di oggi non è davvero diversa da Jim Crow o dalla schiavitù. Prima di tutto si tratta di un'analisi molto imprecisa e astorica che è da ostacolo a un'azione efficace. In secondo luogo, è un atteggiamento del tutto irrispettoso e depoliticizzante nei confronti delle lotte politiche del passato, e ignora completamente i reali cambiamenti che sono stati raggiunti attraverso l'impegno, il coraggio e spesso i più grandi sacrifici.

Non ha senso ignorare quanto sono cambiati gli atteggiamenti sociali. Ci sono ancora persone benestanti che sono di destra, che associano tutte queste proteste alla distruzione della proprietà, all'anarchia e così via. Ma ci sono molte persone benestanti che fanno parte di questi percorsi di cambiamento, che dicono di essere d'accordo e che è terribile che la polizia uccida i neri. Questo tipo di persone ha messo il logo di Black Lives Matter sul sito web della loro azienda e dicono che doneranno miliardi di dollari a qualche organizzazione no-profit. In un senso la partecipazione delle classi privilegiate porta  certamente il movimento a un “adeguamento del galateo” e a una richiesta di uguaglianza dell’ingiustizia.

Questo è parte degli elementi reazionari della classe. Ma ci possono essere  altri elementi reazionari che non hanno  quel carattere di classe, per esempio non c'è un'ideologia unitaria della classe operaia, i lavoratori non sono spontaneamente comunisti e ognuno può avere qualsiasi tipo di opinione. Chiunque può  dire che che c’è un noi, a qualsiasi “noi” ci si riferisca, che è danneggiato dalla violenza della polizia, e che quindi il senso del movimento consiste nel riconoscere quell’ identità piuttosto che nell’attaccare l'apparato repressivo dello Stato capitalista. Ma alla fine ci si scontra sempre con l'apparato repressivo. E quando la repressione statale entra in gioco, si impara molto.

Nella misura in cui un movimento sfida l'apparato repressivo dello Stato capitalista, può avere un intrinseco potenziale rivoluzionario. Naturalmente, ciò non va inteso in astratto, perché ci sono le milizie di destra, fondamentalisti religiosi di ogni tipo, e così via, che si confrontano anche loro con lo Stato, a volte violentemente. Quindi c'è una distinzione che va fatta a livello di contenuti del movimento, tra quelli a carattere universale e per l’emancipazione e quelli a carattere razzista, nazionalista e così via. Per questo penso che a volte, le discussioni di razza/classe siano una grande distrazione, perché dobbiamo determinare a livello politico se c'è il potenziale per un movimento che sia di opposizione oltre che per l’emancipazione , si rischia altrimenti di  prendere altre direzioni e disperdere questo potenziale.

Non è facile che questo potenziale si realizzi, soprattutto perché ci sono grandi elementi di spontaneità. Non credevo che esistesse la spontaneità ma solo forme di organizzazione sommerse che non si vedono. Ma quello che ho visto questa estate mi ha portato a rivedere  la mia posizione. La spontaneità è una sfida difficile perché si esaurisce in fretta e non c'è una direzione automatica che la porti  a esprimersi a livello organizzativo.

 

Vedi una relazione tra il movimento e l'esito delle elezioni presidenziali?

Subito dopo le elezioni ho guardato ogni sondaggio possibile, e ogni settimana c'erano così tanti dati nuovi che era difficile trarre conclusioni, ma quello che posso dire è che non c'è un rapporto diretto tra Black Lives Matter e la vittoria di Biden.

All'inizio, quando sono iniziate le proteste, c'era un sostegno molto diffuso anche tra i bianchi. Con il passare del tempo, il sostegno è diminuito. E questo potrebbe essere dovuto alla stanchezza per qualsiasi movimento che si esprima con carattere dirompente  per più di qualche giorno. Ma abbiamo anche visto che quando i sondaggisti hanno chiesto, "Credete che le proteste siano una scusa per chi vuole solo infrangere la legge, nel senso di sfasciare finestre, compiere saccheggi, eccetera?”, più persone di colore che bianchi hanno risposto di sì.  E c'è stato anche un aumento del sostegno dei latinos a Trump rispetto alle ultime elezioni. Non so se adesso c’è più chiarezza sul voto degli elettori neri, ma dai primi exit poll sembrava che il sostegno dei neri a Trump fosse aumentato. E questo ha messo profondamente in crisi il paradigma secondo cui se si vota per Trump è perché si è un suprematista bianco. Forse non è questo il modo migliore per spiegare il voto a Trump, ci potrebbero essere svariati tipi di articolazioni ideologiche che lo rendono possibile. E nessuno sa che ruolo avrà Trump in politica d’ora in poi, se dal trumpismo verrà fuori una sorta di ideologia coerente. 

Un altro punto è che per molti elettori il problema principale era il “law and order”, l’ordine pubblico. Si potrebbe supporre che le persone che credevano nel “law and order” avrebbero votato per il candidato di destra, ma molte persone che sono state intervistate pensavano che Trump avesse acceso le fiamme dei disordini e che in realtà Joe Biden sarebbe stato più bravo a mantenere il “law and order”. Quindi potrebbe darsi che parte del voto per Biden sia stato guidato dall'opposizione alle proteste.

Ma naturalmente parte del voto per  Biden è stato guidato dal sostegno alle proteste e dal pensiero che il candidato democratico sarebbe stato quello antirazzista. Quando Biden ha scelto Harris mi sono chiesto per chi lo avesse fatto: non che necessariamente parlasse a un particolare blocco elettorale con quella scelta, perché penso che sia piuttosto improbabile che questa scelta avrebbe portato a un significativo aumento del sostegno da parte di un qualsiasi blocco elettorale. Probabilmente la scelta è stata fatta per i media, per i ricchi liberali che credono nel galateo antirazzista, il galateo dell’identity politics.

 

Quali effetti pensi il movimento del 2020 avrà sul futuro dei movimenti negli Stati Uniti? Quali sono le soggettività, le figure e le tattiche che sono emerse?

Questo è il tipo di domanda che mi sono posto mentre partecipavo alle proteste, in particolare in relazione al precedente e inaspettato successo della campagna di Bernie Sanders e poi al suo fallimento. Nella prima fase delle primarie aveva superato le aspettative e ne ero rimasto molto sorpreso. Ma poi, a causa sia dei limiti intrinseci della politica parlamentare sia dell'opposizione attiva della direzione del partito, non ce l’ha fatta. Molte persone sono diventate socialiste grazie alla prima campagna di Bernie Sanders. In molti casi ciò può portare a intendere il socialismo come una sorta di politica parlamentare, che è una visione molto diffusa nella sinistra americana contemporanea. Poiché manca la continuità delle conoscenze politiche, abbiamo una cultura che scoraggia lo studio storico e teorico, e molte persone non hanno esperienza politica semplicemente perché non ci sono stati abbastanza movimenti a cui partecipare. 

La cosa interessante però è che subito dopo la sconfitta definitiva di Bernie Sanders, nonostante il socialismo fosse stato fin lì concepito all'interno dei confini della politica parlamentare, c'era un movimento che operava totalmente al di fuori dei confini della politica dello Stato e che in molti casi era in realtà a questo antagonista. Certamente c’erano delle tendenze nei movimenti che dicevano “collaboriamo con la polizia”. E si potrebbe essere tentati di dire che erano le élite liberali a dire così, ma come ho detto prima non credo che ci sia necessariamente una base di classe per avere queste opinioni. Ugualmente, c'erano anche persone che erano pronte a scontrarsi con la polizia se necessario e che lo facevano per la prima volta. Questo era ciò che mi interessava in quel momento, da un lato c'era un movimento socialista all'interno dello Stato, dall'altro un movimento spontaneo al di fuori dello Stato che si opponeva allo Stato. Che cosa avevano a che fare l'uno con l'altro? Perché si sono dati separatamente? Perché non c'è un movimento socialista che si confronta con lo Stato?

E allora ho guardato indietro, alla storia delle rivolte metropolitane. Negli anni Sessanta, dopo i disordini di Newark e Detroit, si sono formate nuove organizzazioni: il Congress of African Peoples a Newark che è poi diventato la Revolutionary Communist League, e la League of Revolutionary Black Workers di Detroit. Così ho pensato che questa fosse la linea da sostenere: che la cosa importante di queste rivolte è che potessero generare nuove organizzazioni. Forse sta succedendo, ma non ho ancora alcuna prova particolare. Negli anni Sessanta succedeva nel contesto di un decennio di rivoluzione globale e sulla scorta di un background di idee molto più radicali in diversi tipi di movimenti sociali. Non so se ora abbiamo tutto questo, e temo di non avere grandi proposte  per il futuro con cui concludere. In realtà non ho alcun ottimismo politico. Per un po' di tempo, nel mentre, mi sono sentito euforico: pensavo che sarebbero nate nuove organizzazioni, e che la gente potesse imparare a opporsi allo Stato. Forse queste cose accadranno, ma ora ho l'impressione – forse solo perché è inverno e sono di cattivo umore – che sia meglio vedere la sconfitta come la prima possibilità. Perché a sinistra c’è una tendenza al trionfalismo legata a una sorta di filosofia della storia: "la vittoria della rivoluzione è inevitabile, è determinata dalle leggi della storia, la storia è dalla nostra parte". Non credo che la storia sia dalla nostra parte. Le leggi della storia, se esistono, sembrano condurci verso un pianeta in fiamme. Non credo perciò che possiamo fare affidamento su questo. Penso che se partiamo dal presupposto che probabilmente saremo sconfitti, allora forse possiamo avere una percezione più profonda di ciò che è in gioco e di ciò che ci servirà per intraprendere il tipo di trasformazione radicale che è necessaria.

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